Bufale, penne e matite spaziali

Complotti

L’esplorazione del cosmo pullula di misteri… e di bufale.
Per la serie “A volte ritornano” riproponiamo una bufala che ciclicamente fa capolino nel web e sui social che strappa qualche sorriso e alcune considerazioni indignate in chi combatte quotidianamente contro la casta dei poteri forti di oltre atlantico:

“Quando la NASA cominciò a mandare l’uomo nello spazio, si rese conto che le normali penne non avrebbero funzionato a gravità zero. Così spese un milione di dollari e due anni per creare una penna apposita, in grado anche di resistere a temperature estreme. Quando la Russia si trovò dinanzi lo stesso problema, utilizzò una matita”

Una storia simpatica che sarebbe il caso di analizzare per evitare fraintendimenti. Per prima cosa vorrei portare avanti l’ipotesi che si tratti di un fatto vero. I lettori che condividono vedono nella storia una prova tangibile dell’incompetenza spendacciona della NASA rispetto alla pragmatica praticità efficace dell’agenzia spaziale Sovietica. Malgrado sia vero che i Sovietici siano da sempre molto più pratici e non si creavano problemi prima di agire, ma se fosse vera questa cosa sarebbe la riprova che la NASA avesse a cuore la sorte dell’equipaggio e delle missioni.
Inizialmente, sia i Sovietici che gli Americani, utilizzavano le matite nelle missioni spaziali, ma tutto ciò poteva comportare dei seri rischi. Possibile che un oggetto così utile e innocuo potesse scatenare tanti timori? Ragionando come facciamo qui sulla terra ferma pare impossibile considerare una matita come un pericolo grave, ma va considerato che le condizioni in orbita, in cui la gravità è diversa, le cose cambiano e bisogna prestare attenzione anche ai minimi dettagli. Le matite sono costituite da un’anima di grafite che è altamente conduttivo. Le polveri di grafite in sospensione nell’abitacolo erano un potenziale pericolo perché potevano intrufolarsi nelle componenti elettroniche provocando corto circuito. Le navette dell’epoca avevano un ambiente saturo di ossigeno e bastava una piccola scintilla per provocare un incendio e quindi una catastrofe, il caso Apollo 1 Docet.
Quindi l’utilizzo delle matite era una pratica da sconsigliare e usare solo ed esclusivamente fosse l’unica opzione possibile.
Alla luce di ciò, se la storia sopra fosse stata vera, l’interpretazione sarebbe diversa e l’eventuale sforzo e investimento della NASA per creare una penna capace di scrivere nello spazio avrebbe avuto un senso, ma le cose non andarono proprio così.

Acclarata la potenziale pericolosità dell’uso delle matite, la NASA acquistò 34 penne meccaniche al prezzo di 130 dollari al pezzo alla “Houston’s Tycam Engineering Manufacturing, Inc.”, una cifra ragguardevole per l’epoca e la cosa non passò inosservata creando scalpore e costringendo la NASA a ritirare l’ordine.
A risolvere il problema fu un investitore privato, Paul Fisher fondatore della famosa “Fisher Pen Company” che creò una penna capace di scrivere sia verso il basso che verso l’alto, con temperature estreme e anche sott’acqua attraverso un sistema di pressurizzazione all’azoto che spinge l’inchiostro verso la punta in tungsteno. Nel 1965 Fisher depositò il brevetto della sua penna e la NASA, dopo un periodo di titubanza dettato dalla voglia di non attirare ancora polemiche, decise di utilizzare la Fisher AG-7 dal 1967 per le missioni spaziali acquistandole al prezzo di 6 Dollari al pezzo.

Nel 1969 anche i Sovietici acquistarono dalla Fischer 100 penne e 1000 ricariche da utilizzare al posto delle matite in grafite.

La Fisher continua a produrre penne che vengono utilizzate nelle missioni spaziali, ma che possono essere acquistate da chiunque abbia voglia di spendere una cinquantina di euro per avere una penna capace di scrivere in ogni situazione.


Per questa, ed altre storie “bizzarre”, si consiglia la lettura del libro “Astrobufale” di Luca Perri edito da Rizzoli.

 

 

 

 

 

Luca Menichelli

One thought on “Bufale, penne e matite spaziali

  • Ammetto di esserci cascato e di averla condivisa su facebook. Prometto che non lo faccio più. Il libro sembra interessante, lo prenderò su Amazon.

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